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Strategia e Organizzazione | Post di Sbertani

Mercato digitale o luogo fisico?

Recentemente mi sono imbattuto in una ricerca del CESA (Computer Entertainment Supplier’s Association) sulle abitudini di acquisto dei video giocatori nipponici. Nel 2022 le vendite presso il canale retail hanno superano di gran lunga le vendite online. Solo il 30% dei videogiochi è stato venduto in formato digitale mentre addirittura il 70% su disco o cartuccia, ovviamente per computer e console. Un dato interessante riguarda le vendite di giochi per Playstation 5: se in Giappone le vendite tramite download online si aggirano sui 35%, in Europa hanno oramai raggiunto un desolante 70%.

In attesa dei dati di quest’anno, per capire se verranno confermati o meno, certamente quanto emerso è un dato in contro tendenza rispetto al resto del mondo.

Una spiegazione potrebbe risiedere nella differenza culturale con l’Europa: nei giapponesi l’anima del collezionista è molto più presente come è molto più fiorente il mercato dell’usato. Ma non solo, in Giappone molti giochi hanno la corrispondente versione fisica e il mercato dei gadget e delle carte brandizzate è molto apprezzato e florido.

Qui da noi, quando si parla di modelli di vendita per il settore retail, mi capita invece spesso di notare approcci molto critici da parte degli analisti del tipo: “oramai il fisico è morto in quanto troppo costoso, mentre l’ecommerce permette di ottimizzare costi e quindi anche i prezzi. E poi ottieni il prodotto subito stando comodamente a casa”.

Certamente, nel settore dei videogiochi l’essere passati ad un modello praticamente solo digitale ha permesso alle major di ottimizzare i costi di produzione, ridurre il consumo di plastica e carta e sfruttare i meccanismi “in-app” per erogare addon e servizi aggiuntivi a pagamento che sono diventati la vera fonte di reddito.

Se negli anni Novanta, lo spostamento verso la GDO insieme all’applicazione di “aggressive” politiche di vendita del software avevano già portato alla chiusura della maggior parte dei negozi di computer e videogame, in questi ultimi anni abbiamo assistito all’ultima ondata di chiusure proprio a causa dello spostamento del software verso il mondo digitale che ha portato un’inesorabile riduzione delle opportunità di guadagno per gli intermediari della distribuzione.

Spesso sono gli stessi piccoli imprenditori a lanciarsi sull’online abituando il mercato, per poi finire divorati dal grande player che si ritrova un settore già in difficoltà e quindi facile da conquistare.

Dunque, è tutto finito?

Le statistiche provenienti dal Giappone mi fanno da una parte ben sperare che ci possa essere ancora un piccolo spazio per fare rinascere le vendite fisiche anche da noi; dall’altra mi offrono un’occasione per fare dei piccoli ragionamenti su questo particolare tema.

In effetti, in diversi settori le persone continuano a recarsi nei punti vendita e questo accade quando la presenza di un professionista riesce a fare loro vivere un’esperienza di acquisto diversa e più appagante.

Porto come esempio un negozio di macchine fotografiche ed accessori vicino a casa mia: all’interno il proprietario è un grande appassionato di fotografia e accoglie i clienti fornendo supporto e assistenza con grande trasporto. Il negozio è sempre pieno di clienti e i prezzi non sono certo i più bassi: l’approccio consulenziale, in questo caso, è il fattore differenziante decisivo.

Tornando al settore dei videogame, sembra scontato che un prodotto digitale possa essere venduto più facilmente tramite i vari repository, ma questo non toglie il fatto che un negozio fisico possa ancora avere senso se, al concetto di vendita del videogioco, venisse aggiunta un’esperienza da fare vivere al cliente solo nel punto vendita. Sono degli esempi l’organizzazione di tornei in presenza, l’allestimento di aree di svago dove fermarsi per bere e mangiare qualcosa mentre si chiacchiera con gli amici, ma anche acquistare gadget, imparare a superare i livelli e scambiare oggetti da collezione. Certo, non si potranno fare affari come negli anni Novanta, ma un luogo del genere, una sorta di ludoteca moderna, potrebbe sicuramente avere appeal anche oggi.

Disney, per fare un esempio, non si è limitata a realizzare film di animazione, anche se capolavori, ma ha investito in iniziative laterali rispetto al suo core business e capaci di coinvolgere il proprio pubblico di spettatori fuori dalle sale. Dopo aver visto un film, lo spettatore può recarsi in un parco divertimenti, acquistare prodotti nei negozi fisici, prenotare una crociera a tema oppure impersonare un personaggio indossando un vestito o giocando con le tante action figure. Tutte attività che si possono comprare online ma che si svolgono poi in un luogo fisico.

In Giappone la chiave è stata proprio questa: non limitarsi a realizzare o vendere videogame ma guardare più in avanti mettendo al centro il cliente offrendogli tutta una serie di opportunità per interagire con il brand e stimoli per interagire con gli altri appassionati come lui.

Pensare al business guardando solo al momento della vendita può essere limitante. Un giro di affari può essere aumentato non solo vendendo più prodotti, ma allargando l’offerta a prodotti e servizi complementari. Se si riuscisse a proporre un’esperienza emozionante o un motivo aggregante per il nostro cliente, il successo è garantito anche in un negozio fisico.

Quindi il tema non è “luogo digitale vs luogo fisico” ma cosa offro al mio cliente e quale tipo di esperienza voglio fargli vivere e dove.


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Pubblicato il 07-10-2023

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