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Tecnologie | Post di Sbertani

Con l’arrivo dell’intelligenza artificiale siamo diventati tutti dei cavernicoli?

Con l’avvento delle nuove applicazioni definite di “intelligenza artificiale” ad uso “consumer”, molti influencer e divulgatori sono si sono lanciati in nuovi business: evangelizzare il mondo nell’utilizzo di ChatGPT, Gemini, Copilot e Claude (semplici esempi) per aiutarci a competere sui mercati. Spesso utilizzando tecniche di comunicazione molto curiose.

Proviamo a capirne di più?

Analizzando lo scenario, troviamo da una parte il pubblico formato da persone di ogni età, probabilmente già inserite nel mondo del lavoro, che non utilizzano queste applicazioni se non marginalmente. Dall’altra alcuni "influencer online" desiderosi di offrire un salvacondotto per la terra promessa chiamata “sopravvivenza lavorativa”.

Ma non solo loro: troviamo anche i consulenti e formatori professionisti, quelli abituati ad analizzare le esigenze e i bisogni dei singoli clienti per trovare le migliori soluzioni capaci di risolvere le loro specifiche necessità. Utilizzando anche sistemi di AI se necessario.

Al centro mettiamo la tecnologia, quella intelligenza artificiale che non è altro che un insieme di interfacce e strumenti basati su algoritmi addestrati a rispondere ai più disparati quesiti con un grado di efficacia notevole e in continuo miglioramento. Sono tecnologie che a livello industriale, sanitario, logistico, produttivo e militare sono in uso da diversi anni e che oggi sono state gradualmente allargate - con i dovuti distinguo - alla gente comune come noi attraverso applicazioni verticali di vario tipo.

La questione è questa: è corretto sostenere che le persone che non si stanno interessando alla cosiddetta AI sono dei cavernicoli senza futuro? Molti divulgatori sostengono di si, anche se il loro giudizio genera qualche dubbio e sospetto.

Come avvenuto in passato, ed è la prassi, a sperimentare le nuove tecnologie sono i cosiddetti innovatori, quelle persone che per predisposizione, interessi specifici e bisogni, tendono ad essere i primi ad adottare nuovi strumenti. È successo in passato con l’email, il fax, internet, per fare degli esempi semplici.

Ma non tutti sono innovatori e non tutti ne hanno specifico bisogno, almeno oggi: chi ne ha visto l’utilità le sta già utilizzando. Inoltre, a causa della normale evoluzione, con il tempo queste applicazioni si allargheranno a macchia d'olio abbracciando sempre più utenti, diventando ad un certo punto tecnologie comuni e scontate.

La vera sfida, almeno oggi, è riuscire a integrarla nei propri processi produttivi, automatizzandoli.

Parlando con un amico, professionista in ambito commerciale della vecchia scuola, mi spiegava come alcune app di AI potrebbe aiutarlo per accelerare alcune attività collaterali: attualmente però non sono ancora in grado di automatizzare certi processi specialmente quando entra in gioco la sua specifica competenza.

Come dire: faccio prima a scrivere questo testo attingendo dal pozzo delle mie competenze, o addestro un'applicazione di intelligenza artificiale per fare in modo che scriva un testo completo di stile ed emozioni legate alla mia persona?

Confondere e illudere le persone su questi argomenti, sostenendo che partecipare ad un corso online senza un approfondimento specifico è sufficiente per uscire dal letargo e da un immobilismo negativo, non fa che accrescere l’idea malsana che quattro applicazioni online possano compensare anni di esperienze e studi che normalmente chiamiamo competenze.

Diverso è la formazione quella seria, quella che ci permette di approfondire attraverso lo studio ogni caso specifico, trovando e consigliando la soluzione migliore - anche di AI - capace di risolvere dei problemi oggettivi. Formazione che, in questa materia, si traduce in consulenza operativa.

La “vera” intelligenza artificiale è quella capace di accompagnarci verso una completa automazione dei nostri processi e lo si fa attraverso percorsi formativi e consulenziali specifici.

Come detto in precedenza, gli innovatori hanno già iniziato a provare l’intelligenza artificiale sui loro computer e la stanno utilizzando anche nel quotidiano. Altri forse, trascinati dalla moda, tenteranno un approccio timido provando a creare un account su qualche sito specializzato senza comunque trovare una pratica utilità, rischiando però di divulgare informazioni strategiche e riservate perché nessuno li ha mai avvisati a riguardo. Dietro a queste tecnologie si nascondono infatti temi come l’etica e la privacy, non proprio da sottovalutare.

Prima di dare dei cavernicoli alle persone, cosa che già questa ci dovrebbe fare riflettere, impariamo a valutare a chi ci rivolgiamo e di cosa queste persone potrebbero avere davvero bisogno per migliorare i loro processi lavorativi.

Magari potremmo scoprire che necessitano di migliorare le proprie soft skill o le competenze più hard, lavorando per esempio sul dare valore ai prodotti o crare meglio dei dettagli nelle procedure o nella comunicazione. Magari mettendosi nei panni dei loro clienti per offrire esperienze commerciali più interessanti e piacevoli. Utilizzando le app di AI? Magari si.

La chiave è proprio questa: come inserire l’intelligenza artificiale all’interno delle nostre procedure per soddisfare una specifica necessità operativa.

Le app di AI sono molto utili, e lo saranno ancora di più nel prossimo futuro come avvenuto per la mail in passato e il fax ancora prima. Importante è capire come possono essere funzionali al nostro lavoro e come possiamo metterle a disposizione delle nostre competenze e idee creative in ottica di business.

Finiamole di considerarle una scorciatoia o uno stratagemma per lavorare meno e produrre di più.

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Aggiornato il 04-08-2024

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