
Marketing e Comunicazione | Post di Sbertani
Quando la visibilità diventa moneta: il sottile confine tra collaborazione e sfruttamento
Chi generalmente lavora nell’ambito della comunicazione e del marketing di settore, oppure occupa una posizione di particolare visibilità in un dato comparto, si potrebbe trovare nella fastidiosa condizione di dover gestire richieste - dal tono apparentemente collaborativo - ma che, a ben vedere, hanno poco a che fare con la cooperazione e molto con la cosiddetta “gratuità mascherata”.
“Il nostro prodotto è interessante per il tuo pubblico, potremmo collaborare!”
Questa frase, che di per sé non contiene nulla di male, nasconde però un’aspettativa: che tu, come professionista della comunicazione, debba mettere a disposizione la tua rete, la tua reputazione, il tuo tempo e i tuoi canali gratuitamente, in nome di un “interesse comune”.
Ma dove finisce la collaborazione e dove inizia lo sfruttamento? Stiamo parlando del concetto della reciprocità, muovendoci sul filo della retorica del "Win-Win" per un più realistico "Lose-Win" di lontana memoria.
Per trattare questo tema, partirei col ricordare che nel mondo della comunicazione B2B, e quindi di settore, la visibilità è un asset economico. Ogni pubblicazione, ogni newsletter, ogni contenuto posizionato su un media ha un valore calcolabile in termini di tempo, competenza e audience fidelizzata.
Quando un qualsiasi soggetto ci chiede di parlare del suo prodotto "perché è utile per il nostro pubblico", sta in realtà proponendo uno scambio: ti fornisco un contenuto, tu mi dai visibilità.
Se questo scambio non è bilanciato – in pratica se non porta valore al nostro business o non è retribuito – non si concretizza la collaborazione in quanto il vantaggio diventa unilaterale e, nel peggiore dei casi, in sfruttamento.
Il paradosso: se ti cercano, sei importante
Quando questo accade, generalmente un dettaglio viene sottovalutato, non solo in ambito editoriale ma anche professionale: se aumentano le richieste e molte realtà ci chiedono di gestire i loro contenuti, promuovere i loro prodotti o veicolare i loro messaggi, significa che il nostro lavoro è percepito come utile e strategico.
In altre parole, se siamo così richiesti è tempo di fare valere, o riconsiderare, il nostro posizionamento economico.
Molte persone reagiscono genericamente a queste richieste di "collaborazione" con cortesia, magari accettando il compromesso per non rompere i rapporti. In verità, come detto, quando la domanda aumenta è perché il valore percepito del nostro lavoro è alto. Di conseguenza, non dovremmo avere timore nell'adattare le condizioni di accesso ai nostri servizi.
Come gestire queste richieste? Un approccio strategico
Per prima cosa, il mio consiglio è stabilire un tariffario chiaro e professionale. Proporre inizialmente collaborazioni scontate per "prendere il cliente" potrebbero avere condizionato il rapporto di lavoro nel medio e lungo periodo ma chiarire, e comunicare apertamente da subito, che ogni attività professionale ha un valore economico è fondamentale, perché dietro c’è una competenza, una strategia capace di dare valore, un team e magari, tornando all'esempio iniziale, una community costruita con cura.
Naturalmente in vari casi si possono studiare formule più flessibili per startup o progetti con finalità sociali, ma il principio resta: il valore non si regala.
Una possibile strategia spesso utilizzata è quella del co-branding, attraverso la quale coniugare il valore di un tema trattato con la conseguente visibilità garantita dalla partnership: il tutto gestito in modo trasparente e bilanciato. Alcune iniziative – magari culturali, associative o istituzionali – possono rappresentare un’occasione per rafforzare la nostra autorevolezza, ma devono sottostare a scelte consapevoli, straordinarie e comunque coerenti con il nostro business.
Chi ci richiede un servizio gratuito, sa quanto valiamo. Non è il momento di svendere, ma è il momento di valorizzare.
Come consulente strategico, consiglio sempre di guardare a queste occasioni come un indicatore: se in molti cercano di sfruttarci, significa che è il momento giusto per ridefinire le regole del gioco. E farle valere.
“Il nostro prodotto è interessante per il tuo pubblico, potremmo collaborare!”
Questa frase, che di per sé non contiene nulla di male, nasconde però un’aspettativa: che tu, come professionista della comunicazione, debba mettere a disposizione la tua rete, la tua reputazione, il tuo tempo e i tuoi canali gratuitamente, in nome di un “interesse comune”.
Ma dove finisce la collaborazione e dove inizia lo sfruttamento? Stiamo parlando del concetto della reciprocità, muovendoci sul filo della retorica del "Win-Win" per un più realistico "Lose-Win" di lontana memoria.
Per trattare questo tema, partirei col ricordare che nel mondo della comunicazione B2B, e quindi di settore, la visibilità è un asset economico. Ogni pubblicazione, ogni newsletter, ogni contenuto posizionato su un media ha un valore calcolabile in termini di tempo, competenza e audience fidelizzata.
Quando un qualsiasi soggetto ci chiede di parlare del suo prodotto "perché è utile per il nostro pubblico", sta in realtà proponendo uno scambio: ti fornisco un contenuto, tu mi dai visibilità.
Se questo scambio non è bilanciato – in pratica se non porta valore al nostro business o non è retribuito – non si concretizza la collaborazione in quanto il vantaggio diventa unilaterale e, nel peggiore dei casi, in sfruttamento.
Il paradosso: se ti cercano, sei importante
Quando questo accade, generalmente un dettaglio viene sottovalutato, non solo in ambito editoriale ma anche professionale: se aumentano le richieste e molte realtà ci chiedono di gestire i loro contenuti, promuovere i loro prodotti o veicolare i loro messaggi, significa che il nostro lavoro è percepito come utile e strategico.
In altre parole, se siamo così richiesti è tempo di fare valere, o riconsiderare, il nostro posizionamento economico.
Molte persone reagiscono genericamente a queste richieste di "collaborazione" con cortesia, magari accettando il compromesso per non rompere i rapporti. In verità, come detto, quando la domanda aumenta è perché il valore percepito del nostro lavoro è alto. Di conseguenza, non dovremmo avere timore nell'adattare le condizioni di accesso ai nostri servizi.
Come gestire queste richieste? Un approccio strategico
Per prima cosa, il mio consiglio è stabilire un tariffario chiaro e professionale. Proporre inizialmente collaborazioni scontate per "prendere il cliente" potrebbero avere condizionato il rapporto di lavoro nel medio e lungo periodo ma chiarire, e comunicare apertamente da subito, che ogni attività professionale ha un valore economico è fondamentale, perché dietro c’è una competenza, una strategia capace di dare valore, un team e magari, tornando all'esempio iniziale, una community costruita con cura.
Naturalmente in vari casi si possono studiare formule più flessibili per startup o progetti con finalità sociali, ma il principio resta: il valore non si regala.
Una possibile strategia spesso utilizzata è quella del co-branding, attraverso la quale coniugare il valore di un tema trattato con la conseguente visibilità garantita dalla partnership: il tutto gestito in modo trasparente e bilanciato. Alcune iniziative – magari culturali, associative o istituzionali – possono rappresentare un’occasione per rafforzare la nostra autorevolezza, ma devono sottostare a scelte consapevoli, straordinarie e comunque coerenti con il nostro business.
Chi ci richiede un servizio gratuito, sa quanto valiamo. Non è il momento di svendere, ma è il momento di valorizzare.
Come consulente strategico, consiglio sempre di guardare a queste occasioni come un indicatore: se in molti cercano di sfruttarci, significa che è il momento giusto per ridefinire le regole del gioco. E farle valere.
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Aggiornato il 28-03-2025