Società e Persone | Post di Sbertani
L’illusione dell’intelligenza artificiale: come rischiamo di perdere noi stessi affidandoci troppo alle app generative
Negli ultimi anni, l’utilizzo delle applicazioni di intelligenza artificiale generativa (LLM, Large Language Models) ha conosciuto un’espansione vertiginosa. Strumenti come ChatGPT, Gemini o altri modelli di AI simili vengono percepiti come scorciatoie per generare contenuti, accelerare processi creativi e risolvere problemi con pochi clic. Tuttavia, mi chiedo: a quale costo?
C’è una sottile, ma inquietante possibilità che, invece di potenziarci, queste tecnologie stiano erodendo alcune delle nostre capacità più preziose?
Un’illusione di efficienza che ci intrappola
L’AI generativa promette di semplificare la nostra vita, di farci risparmiare tempo e fatica. Ci dà l’impressione di essere più produttivi, capaci di creare contenuti articolati o di risolvere complessi problemi in pochi istanti. Tutto questo è molto utile e ci rende più efficienti sia nella vita privata sia nel lavoro, dandoci quel vantaggio competitivo che ci rende migliori.
Tuttavia, affidandoci totalmente a queste tecnologie, rischiamo di compromettere la nostra capacità di fare ciò che ci rende unici: riflettere, elaborare idee, sforzarci per trovare soluzioni originali.
Questa dinamica non è nuova. Pensiamo al navigatore satellitare: un tempo ricordavamo le strade, costruivamo mappe mentali, sviluppavamo un senso dell’orientamento. Ora, senza un’app di navigazione, ci sentiamo persi, incapaci di percorrere anche i tragitti più semplici. Lo stesso è accaduto con i numeri di telefono, che un tempo memorizzavamo con naturalezza ma che ora sono nascosti dietro una rubrica digitale.
Le AI generative rischiano di fare lo stesso, vista la predisposizione del nostro cervello di rismarmiare il più possibile energia per vivere: queste tecnologie ci abituano a delegare, a non fare la fatica di pensare, portandoci a dimenticare come si “crea”.
Creatività e ricerca: valori che rischiamo di perdere
L’atto stesso del pensare e creare è ciò che ci ha reso capaci di crescere e innovare nei secoli. La fatica del ragionamento e della ricerca non è un ostacolo, ma una componente fondamentale del nostro sviluppo. È attraverso quella fatica che nascono le intuizioni più brillanti e le soluzioni più creative.
L’AI generativa, invece, ci offre risposte pronte e ben confezionate, che spesso appaiono credibili e convincenti. Ma non dobbiamo dimenticare che si tratta di risposte costruite su schemi preesistenti, elaborate da algoritmi che si basano su dati del passato e statistica.
Queste scorciatoie cognitive rischiano di risucchiarci in un circolo vizioso, dove accettiamo ciò che ci viene fornito senza metterlo in discussione, perdendo il desiderio – e la capacità – di esplorare nuove strade.
Brainrot digitale: un pericolo da non sottovalutare
L’utilizzo spasmodico dell’AI generativa ci porta vicino a quel fenomeno che oggi viene chiamato “brainrot”, una sorta di “degrado” causato dall’eccessivo utilizzo di contenuti digitali banali o poco stimolanti. Proprio come il “cervello marcio” evocato dall’uso eccessivo di social media, il brainrot legato all’AI potrebbe privarci della capacità di pensare in modo autonomo e creativo.
L’intelligenza artificiale deve essere uno strumento al nostro servizio, non un sostituto.
Deve supportarci, ispirarci, amplificare le nostre capacità, ma mai sostituirci nel processo decisionale e creativo. Altrimenti, rischiamo di trasformare la nostra intelligenza in un riflesso meccanico, impoverendo il nostro potenziale umano.
Non dobbiamo dimenticare che l’AI è stata progettata per assisterci, non per prendere il nostro posto. Questo vale non solo nel lavoro, dove è essenziale che il potere decisionale rimanga saldamente nelle mani dell’essere umano, ma anche – e soprattutto – nella nostra vita di tutti i giorni e soprattutto a scuola dove cresciamo e veniamo formati.
La vera crescita personale e professionale avviene quando affrontiamo sfide, ci sforziamo, esploriamo. L’AI può essere un alleato, ma non dobbiamo permettere che ci trasformi in semplici esecutori passivi.
Il rischio di un brainrot digitale non è solo un fenomeno teorico, ma una realtà che possiamo contrastare solo tornando a valorizzare il nostro pensiero critico e creativo.
Siamo esseri umani, non algoritmi. Non lasciamo che la nostra intelligenza venga sacrificata sull’altare dell’efficienza tecnologica.
C’è una sottile, ma inquietante possibilità che, invece di potenziarci, queste tecnologie stiano erodendo alcune delle nostre capacità più preziose?
Un’illusione di efficienza che ci intrappola
L’AI generativa promette di semplificare la nostra vita, di farci risparmiare tempo e fatica. Ci dà l’impressione di essere più produttivi, capaci di creare contenuti articolati o di risolvere complessi problemi in pochi istanti. Tutto questo è molto utile e ci rende più efficienti sia nella vita privata sia nel lavoro, dandoci quel vantaggio competitivo che ci rende migliori.
Tuttavia, affidandoci totalmente a queste tecnologie, rischiamo di compromettere la nostra capacità di fare ciò che ci rende unici: riflettere, elaborare idee, sforzarci per trovare soluzioni originali.
Questa dinamica non è nuova. Pensiamo al navigatore satellitare: un tempo ricordavamo le strade, costruivamo mappe mentali, sviluppavamo un senso dell’orientamento. Ora, senza un’app di navigazione, ci sentiamo persi, incapaci di percorrere anche i tragitti più semplici. Lo stesso è accaduto con i numeri di telefono, che un tempo memorizzavamo con naturalezza ma che ora sono nascosti dietro una rubrica digitale.
Le AI generative rischiano di fare lo stesso, vista la predisposizione del nostro cervello di rismarmiare il più possibile energia per vivere: queste tecnologie ci abituano a delegare, a non fare la fatica di pensare, portandoci a dimenticare come si “crea”.
Creatività e ricerca: valori che rischiamo di perdere
L’atto stesso del pensare e creare è ciò che ci ha reso capaci di crescere e innovare nei secoli. La fatica del ragionamento e della ricerca non è un ostacolo, ma una componente fondamentale del nostro sviluppo. È attraverso quella fatica che nascono le intuizioni più brillanti e le soluzioni più creative.
L’AI generativa, invece, ci offre risposte pronte e ben confezionate, che spesso appaiono credibili e convincenti. Ma non dobbiamo dimenticare che si tratta di risposte costruite su schemi preesistenti, elaborate da algoritmi che si basano su dati del passato e statistica.
Queste scorciatoie cognitive rischiano di risucchiarci in un circolo vizioso, dove accettiamo ciò che ci viene fornito senza metterlo in discussione, perdendo il desiderio – e la capacità – di esplorare nuove strade.
Brainrot digitale: un pericolo da non sottovalutare
L’utilizzo spasmodico dell’AI generativa ci porta vicino a quel fenomeno che oggi viene chiamato “brainrot”, una sorta di “degrado” causato dall’eccessivo utilizzo di contenuti digitali banali o poco stimolanti. Proprio come il “cervello marcio” evocato dall’uso eccessivo di social media, il brainrot legato all’AI potrebbe privarci della capacità di pensare in modo autonomo e creativo.
L’intelligenza artificiale deve essere uno strumento al nostro servizio, non un sostituto.
Deve supportarci, ispirarci, amplificare le nostre capacità, ma mai sostituirci nel processo decisionale e creativo. Altrimenti, rischiamo di trasformare la nostra intelligenza in un riflesso meccanico, impoverendo il nostro potenziale umano.
Non dobbiamo dimenticare che l’AI è stata progettata per assisterci, non per prendere il nostro posto. Questo vale non solo nel lavoro, dove è essenziale che il potere decisionale rimanga saldamente nelle mani dell’essere umano, ma anche – e soprattutto – nella nostra vita di tutti i giorni e soprattutto a scuola dove cresciamo e veniamo formati.
La vera crescita personale e professionale avviene quando affrontiamo sfide, ci sforziamo, esploriamo. L’AI può essere un alleato, ma non dobbiamo permettere che ci trasformi in semplici esecutori passivi.
Il rischio di un brainrot digitale non è solo un fenomeno teorico, ma una realtà che possiamo contrastare solo tornando a valorizzare il nostro pensiero critico e creativo.
Siamo esseri umani, non algoritmi. Non lasciamo che la nostra intelligenza venga sacrificata sull’altare dell’efficienza tecnologica.
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Aggiornato il 06-12-2024