Strategia e Organizzazione | di Sbertani
Il ruolo degli influencer: strategie social per le aziende in un’era di cambiamenti
Negli ultimi anni, il ruolo degli influencer sui social network ha subito profonde trasformazioni. Da strumenti potenti di marketing, alcuni grandi influencer hanno visto crollare la loro reputazione a causa di incidenti, contenuti poco autentici o l’incapacità di mantenere un legame reale con la propria audience.
Questo fenomeno sembra abbia spinto le aziende a interrogarsi sull'efficacia di affidarsi a figure con decine di migliaia di follower, soprattutto quando l'obiettivo è raggiungere un pubblico specifico piuttosto che guadagnare visibilità generica. Ma è proprio così? Cosa sta succedendo?
Perché le aziende si sono affidate agli influencer
Invece di creare cerchie di contatti propri, per una serie di motivi pratici e strategici molte aziende hanno scelto in passato di collaborare con gli influencer del web. Proviamo ad analizzare nel dettaglio questo fenomeno.
Il primo aspetto sicuramente da prendere in considerazione è il fattore tempo: costruire una community fedele richiede anni di impegno costante, creatività e risorse, mentre gli influencer affermati consentono di accedere immediatamente a una platea già formata e coinvolta.
Pensiamo, ad esempio, a un’azienda emergente nel settore del food & beverage: entrare nel mercato con una propria pagina social può significare mesi (se non anni) di contenuti e campagne per raggiungere una massa critica di follower. Al contrario, una collaborazione con un food blogger popolare permette di saltare questa fase iniziale e di arrivare immediatamente a consumatori interessati al prodotto.
Un altro motivo è l’accesso alla coseddetta "autorevolezza percepita". Gli influencer non si limitano a essere veicoli di comunicazione ma, nel momento in cui promuovono un prodotto, trasferiscono parte della loro credibilità al brand.
Questo meccanismo è stato cruciale soprattutto per le aziende di piccole e medie dimensioni, che non avevano un nome consolidato e dovevano conquistarsi la fiducia dei consumatori in un panorama competitivo. Prendiamo il caso dei brand di moda sostenibile, magari rivolti a target ben definiti e di nicchia: molti di questi hanno utilizzato influencer specializzati per comunicare la qualità e l’etica dei loro prodotti, cosa che sarebbe stata molto più difficile senza un mediatore autorevole.
Infine, ma non meno importante, c'è la questione economica. Paradossalmente, per molte aziende investire negli influencer è stato più conveniente rispetto alla creazione e gestione interna di una strategia social a lungo termine.
Mettere in piedi un team di social media manager, copywriter e content creator, con gli strumenti necessari, può essere proibitivo.
Quale utente seguirebbe poi una pagina o un "profilo" aziendale durante il proprio tempo libero? Al contrario, un contratto con un influencer coinvolgente con una intrigante story telling, rappresenta per lo sponsor un costo certo e scalabile in base al budget disponibile.
I limiti del passato e il nuovo presente
Questo approccio, però, ha mostrato i suoi limiti con il tempo. Prendiamo ad esempio il caso di un brand del settore della cosmesi naturale, che decide di investire in una campagna con un influencer di fama internazionale seguito da milioni di persone. Nonostante il clamore mediatico, i risultati spesso non vanno oltre un picco temporaneo di engagement. Il motivo?
L’audience dell’influencer potrebbe risultare troppo eterogenea e una buona parte dei follower non in target con il prodotto. Ma non solo: stiamo parlando comunque di pubblicità e, passata l'onda di visibilità iniziale, per mantenere il prodotto sul cosiddetto "plateau" - che rappresenta una fase stazionaria nella quale le vendite si attestano intorno ad uno stesso valore - dovremmo investire nuove risorse. Se poi l'influenzar cade in qualche errore di immagine, il ritorno svanisce clamorosamente.
Di contro, micro e nano-influencer con comunità più piccole, ma altamente coinvolte, hanno dimostrato di convertire meglio, garantendo un ROI più elevato con budget inferiori.
Queste dinamiche evidenziano comunque un problema strategico per le aziende: la dipendenza dagli influencer, pur comoda nel breve termine, non costruisce un patrimonio digitale stabile per il brand.
Un account aziendale senza una community propria rischia di non avere un’identità autentica e di perdere rilevanza appena l’influencer smette di promuovere il prodotto.
Oggi il panorama sembra cambiato. La chiave è riconsiderare il concetto stesso di "influenza". Il pubblico non sembra più premiare chi ha i numeri più alti, ma chi riesce a creare connessioni autentiche.
Un esempio illuminante viene dal settore dell'abbigliamento sportivo, dove un brand emergente ha collaborato con una serie di personal trainer locali, ognuno con poche migliaia di follower. La campagna non è stata impostata su un’unica figura centrale, ma su una rete di relazioni distribuite, sfruttando la credibilità e la prossimità che questi trainer avevano con le proprie comunità.
Il risultato? Vendite in crescita e una brand awareness che ha superato le aspettative.
La stessa cosa è capitata per un brand di orologi di nicchia, un'azienda di magliette "nerd" molto in voga tra i ragazzi e per un'importante azienda di sicurezza informatica che ha sponsorizzato tantissimi micro-influencer soprattutto su YouTube.
La lezione è chiara: non si tratta solo di scegliere tra grandi e piccoli influencer, ma di individuare figure capaci di tradurre il messaggio del brand in contenuti rilevanti per il pubblico che si desidera raggiungere. Questo approccio si sposa perfettamente con le esigenze di aziende che non possono contare su una propria fanbase attiva e devono dunque "acquistare" attenzione in modo mirato.
Un altro elemento da considerare è il contenuto stesso.
Gli utenti dei social network sono sempre più scettici nei confronti di collaborazioni palesemente sponsorizzate. Puntare su contenuti co-creati, in cui l’influencer diventa parte integrante della narrazione del brand, aiuta a mantenere alta la credibilità. Costruire relazioni continuative con influencer allineati ai valori dell’azienda è un investimento che paga nel lungo periodo. Da qui i cosiddetti "ambassador".
Infine, non bisogna dimenticare le opportunità offerte dalle nuove piattaforme e formati emergenti. TikTok, ad esempio, ha ridefinito le regole del gioco, spingendo contenuti virali che spesso nascono da utenti con pochissimi follower. In questo contesto, molte aziende stanno scegliendo di concentrarsi su strategie "UGC-driven" (User Generated Content), incoraggiando i propri clienti o micro-influencer a creare contenuti organici che spesso ottengono performance migliori rispetto a quelli sponsorizzati.
Il futuro degli influencer non è in crisi, ma richiede un cambio di paradigma. Le aziende devono smettere di guardare ai grandi numeri come unico indicatore di successo e iniziare a costruire reti di collaborazione più intelligenti e strategiche con chi crede veramente nel prodotto "consigliato".
Soprattutto, devono investire nella creazione di una propria community, bilanciando le collaborazioni con gli influencer e le strategie per coltivare relazioni continue e dirette con il proprio pubblico. L'obiettivo è convertire i risultati in termini di visibilità in contatti concreti da seguire poi nel tempo e in autonomia.
Solo così potranno trasformare i social media in un canale davvero efficace per incrementare il pubblico in autonomia.
Questo fenomeno sembra abbia spinto le aziende a interrogarsi sull'efficacia di affidarsi a figure con decine di migliaia di follower, soprattutto quando l'obiettivo è raggiungere un pubblico specifico piuttosto che guadagnare visibilità generica. Ma è proprio così? Cosa sta succedendo?
Perché le aziende si sono affidate agli influencer
Invece di creare cerchie di contatti propri, per una serie di motivi pratici e strategici molte aziende hanno scelto in passato di collaborare con gli influencer del web. Proviamo ad analizzare nel dettaglio questo fenomeno.
Il primo aspetto sicuramente da prendere in considerazione è il fattore tempo: costruire una community fedele richiede anni di impegno costante, creatività e risorse, mentre gli influencer affermati consentono di accedere immediatamente a una platea già formata e coinvolta.
Pensiamo, ad esempio, a un’azienda emergente nel settore del food & beverage: entrare nel mercato con una propria pagina social può significare mesi (se non anni) di contenuti e campagne per raggiungere una massa critica di follower. Al contrario, una collaborazione con un food blogger popolare permette di saltare questa fase iniziale e di arrivare immediatamente a consumatori interessati al prodotto.
Un altro motivo è l’accesso alla coseddetta "autorevolezza percepita". Gli influencer non si limitano a essere veicoli di comunicazione ma, nel momento in cui promuovono un prodotto, trasferiscono parte della loro credibilità al brand.
Questo meccanismo è stato cruciale soprattutto per le aziende di piccole e medie dimensioni, che non avevano un nome consolidato e dovevano conquistarsi la fiducia dei consumatori in un panorama competitivo. Prendiamo il caso dei brand di moda sostenibile, magari rivolti a target ben definiti e di nicchia: molti di questi hanno utilizzato influencer specializzati per comunicare la qualità e l’etica dei loro prodotti, cosa che sarebbe stata molto più difficile senza un mediatore autorevole.
Infine, ma non meno importante, c'è la questione economica. Paradossalmente, per molte aziende investire negli influencer è stato più conveniente rispetto alla creazione e gestione interna di una strategia social a lungo termine.
Mettere in piedi un team di social media manager, copywriter e content creator, con gli strumenti necessari, può essere proibitivo.
Quale utente seguirebbe poi una pagina o un "profilo" aziendale durante il proprio tempo libero? Al contrario, un contratto con un influencer coinvolgente con una intrigante story telling, rappresenta per lo sponsor un costo certo e scalabile in base al budget disponibile.
I limiti del passato e il nuovo presente
Questo approccio, però, ha mostrato i suoi limiti con il tempo. Prendiamo ad esempio il caso di un brand del settore della cosmesi naturale, che decide di investire in una campagna con un influencer di fama internazionale seguito da milioni di persone. Nonostante il clamore mediatico, i risultati spesso non vanno oltre un picco temporaneo di engagement. Il motivo?
L’audience dell’influencer potrebbe risultare troppo eterogenea e una buona parte dei follower non in target con il prodotto. Ma non solo: stiamo parlando comunque di pubblicità e, passata l'onda di visibilità iniziale, per mantenere il prodotto sul cosiddetto "plateau" - che rappresenta una fase stazionaria nella quale le vendite si attestano intorno ad uno stesso valore - dovremmo investire nuove risorse. Se poi l'influenzar cade in qualche errore di immagine, il ritorno svanisce clamorosamente.
Di contro, micro e nano-influencer con comunità più piccole, ma altamente coinvolte, hanno dimostrato di convertire meglio, garantendo un ROI più elevato con budget inferiori.
Queste dinamiche evidenziano comunque un problema strategico per le aziende: la dipendenza dagli influencer, pur comoda nel breve termine, non costruisce un patrimonio digitale stabile per il brand.
Un account aziendale senza una community propria rischia di non avere un’identità autentica e di perdere rilevanza appena l’influencer smette di promuovere il prodotto.
Oggi il panorama sembra cambiato. La chiave è riconsiderare il concetto stesso di "influenza". Il pubblico non sembra più premiare chi ha i numeri più alti, ma chi riesce a creare connessioni autentiche.
Un esempio illuminante viene dal settore dell'abbigliamento sportivo, dove un brand emergente ha collaborato con una serie di personal trainer locali, ognuno con poche migliaia di follower. La campagna non è stata impostata su un’unica figura centrale, ma su una rete di relazioni distribuite, sfruttando la credibilità e la prossimità che questi trainer avevano con le proprie comunità.
Il risultato? Vendite in crescita e una brand awareness che ha superato le aspettative.
La stessa cosa è capitata per un brand di orologi di nicchia, un'azienda di magliette "nerd" molto in voga tra i ragazzi e per un'importante azienda di sicurezza informatica che ha sponsorizzato tantissimi micro-influencer soprattutto su YouTube.
La lezione è chiara: non si tratta solo di scegliere tra grandi e piccoli influencer, ma di individuare figure capaci di tradurre il messaggio del brand in contenuti rilevanti per il pubblico che si desidera raggiungere. Questo approccio si sposa perfettamente con le esigenze di aziende che non possono contare su una propria fanbase attiva e devono dunque "acquistare" attenzione in modo mirato.
Un altro elemento da considerare è il contenuto stesso.
Gli utenti dei social network sono sempre più scettici nei confronti di collaborazioni palesemente sponsorizzate. Puntare su contenuti co-creati, in cui l’influencer diventa parte integrante della narrazione del brand, aiuta a mantenere alta la credibilità. Costruire relazioni continuative con influencer allineati ai valori dell’azienda è un investimento che paga nel lungo periodo. Da qui i cosiddetti "ambassador".
Infine, non bisogna dimenticare le opportunità offerte dalle nuove piattaforme e formati emergenti. TikTok, ad esempio, ha ridefinito le regole del gioco, spingendo contenuti virali che spesso nascono da utenti con pochissimi follower. In questo contesto, molte aziende stanno scegliendo di concentrarsi su strategie "UGC-driven" (User Generated Content), incoraggiando i propri clienti o micro-influencer a creare contenuti organici che spesso ottengono performance migliori rispetto a quelli sponsorizzati.
Il futuro degli influencer non è in crisi, ma richiede un cambio di paradigma. Le aziende devono smettere di guardare ai grandi numeri come unico indicatore di successo e iniziare a costruire reti di collaborazione più intelligenti e strategiche con chi crede veramente nel prodotto "consigliato".
Soprattutto, devono investire nella creazione di una propria community, bilanciando le collaborazioni con gli influencer e le strategie per coltivare relazioni continue e dirette con il proprio pubblico. L'obiettivo è convertire i risultati in termini di visibilità in contatti concreti da seguire poi nel tempo e in autonomia.
Solo così potranno trasformare i social media in un canale davvero efficace per incrementare il pubblico in autonomia.
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Aggiornato il 05-12-2024